Dall’eczema alla liberazione

Dall’eczema alla liberazione

Nell’estate del 2018 – avevo 51 anni – ebbi una fastidiosa cistite; siccome erano gli ultimi giorni di lavoro prima delle ferie e mi seccava assentarmi, pensai di liberarmene in fretta prendendo l’antibiotico che il mio medico mi aveva prescritto. Sembravo guarita, ma dopo pochi giorni la cistite si ripresentò più forte e, stranamente, senza che gli esami (effettuati a debita distanza dall’antibiotico) rilevassero la presenza di alcun batterio particolare. Eppure io continuavo a stare male. Infine, dopo diversi Monuril, antibiotici e tachipirine, dopo aver fatto un’ecografia d’urgenza (avevo male ai reni!) che non rilevò nulla di anomalo, e dopo un paio di giorni di febbre, finalmente i sintomi sparirono e io pensai di essere guarita; ma ero ovviamente molto debole e prostrata. Il mese di agosto era passato in quel modo.  E per me si era trattato della classica “ultima goccia”.

Da più di quindici anni infatti ero afflitta da continui malanni, del tutto banali e non gravi – eccesso di catarro e sinusite, mal di gola, influenze e problemi digestivi – ma talmente frequenti da limitare pesantemente la mia vita lavorativa e familiare. L’inverno era un susseguirsi di mali di stagione, mentre sempre più spesso anche l’estate avevo qualche episodio para influenzale, una tonsillite, una faringite o, come l’ultima volta, la cistite. La predisposizione al mal di gola e alle sindromi influenzali l’avevo in realtà avuta sin da bambina, ma dopo la gravidanza si era accentuata unitamente ai problemi digestivi  e al colon irritabile (ero anche diventata intollerante ai latticini). Al tutto si accompagnava una frequente debolezza: era come se non riuscissi mai a recuperare un vero stato di salute, ero sempre sotto tono. Per i medici però, io non avevo nulla: sì, un sistema immunitario debole, evidentemente, ma tutte le visite e gli esami fatti non rivelavano mai nulla di particolare (per esempio non ero celiaca né avevo l’escherichia coli).

Così portavo avanti con gran fatica la mia vita, ma credevo si trattasse della normale “fatica di vivere” che, con un certo avvilimento, constatavo essere particolarmente dura per me. Dovevo solo stringere i denti e tirare avanti, anzi ringraziare di non avere nessuna malattia veramente seria.

A  ottobre del 2018 però, dopo la suddetta cistite, sentii che era arrivato il momento di provare a curarmi in un altro modo. In realtà avevo sempre cercato di limitare l’uso di farmaci e soprattutto di antibiotici, preferendo rimedi “naturali”, fitoterapici ed erboristici; da molti anni prediligevo un’alimentazione sana, bilanciata, che limitasse i cibi di origine animale. E almeno un paio di volte avevo provato a curarmi con l’omeopatia. Avevo avuto alcuni miglioramenti temporanei, ma non avevo mai veramente risolto i miei problemi.

Una mia giovane e cara amica era studentessa di medicina, nonché paziente e allieva del dott. Greco, da cui erano già in cura alcuni miei parenti. E dunque d’un tratto mi dissi: perché no? Voglio provare anch’io! Con slancio ed ottimismo provai l’impulso di affidarmi al dott. Greco e alla sua cura di terreno, senza preoccuparmi troppo delle conseguenze: mi riferisco al fatto che avrei dovuto affrontare le mie influenze senza ricorrere alla tachipirina, e sopportare l’eczema atopico che mi tormentava le mani dall’età di 11 anni senza usare le pomate al cortisone.

Perché ecco: l’eczema atopico era il grande problema rimosso che mi trascinavo dietro fin dalla pubertà, quando i dermatologi mi avevano “curata” con pomate al cortisone che ogni tanto dovevo cambiare perché non facevano più effetto. Diverse volte avevo provato a ridurle o a sospenderle, soprattutto durante l’allattamento di mio figlio; ma infine, dopo al massimo tre o quattro mesi, dovevo ricominciare, perché le condizioni delle mie mani erano insostenibili. Ogni tanto provavo un nuovo ospedale dermatologico, ma soluzioni non ne esistevano. L’ultimo dermatologo lo avevo consultato due o tre anni prima; mi aveva fatto provare il Protopic, una nuova pomata senza cortisone, che però su di me non ebbe alcun effetto, per cui mi disse di tornare al cortisone, cui evidentemente ero tropo assuefatta, perché tanto, mi disse “l’eczema è come il colore dei suoi occhi, non può cambiare”. Quindi mi ero rassegnata e quasi non ci pensavo più.

Durante la prima visita col dott. Greco e i suoi studenti venne fuori un quadro completo di tutti i miei disturbi presenti e passati, nonché delle malattie dei miei genitori e nonni. Ebbi due impressioni molto forti: che tutto venisse tenuto debitamente in conto, e che il tutto costituisse ai loro occhi un quadro coerente (l’acetone infantile, le afte, i mal di gola, l’eczema, l’allergia al polline, l’acidità di stomaco…).

E così, nell’autunno del 2018, iniziai la cura di terreno e una maggiore attenzione ad evitare i cibi acidificanti. Ed iniziò così la mia epopea. Perché il problema che emerse, dopo circa un mese, fu proprio l’eczema, dapprima lentamente (dita rosse, qualche screpolatura più profonda), poi sempre più tumultuoso. Un vero vulcano cui era stato tolto il tappo. Bruciore e prurito si alternavano su mani e braccia. A Natale mani e polsi erano rovinati e sofferenti e le braccia, rosse e gonfie, non sopportavano nemmeno il contatto delle maniche dei vestiti: mi sembrava di avere degli aculei sottopelle che premevano per uscire. Poiché svolgo un lavoro di confezionamento e maneggio alimenti e scatole, dovevo sempre proteggermi con creme, cerotti e guanti.

Quel primo inverno fu difficilissimo. Contavo le settimane sperando che tutte le tossine accumulate da fegato e intestino si esaurissero, e finissero quegli attacchi di prurito feroce e violento che mi facevano scappare fuori di casa nella campagna che – per fortuna! – la circonda a correre e gridare per sfogare un tormento indescrivibile. Il dottor Greco si appellava alla mia pazienza e io lo ascoltavo; sinceramente, non so perché… Tenevo sul comodino la pomata al cortisone, una via di fuga estrema, nel caso non ce l’avessi più fatta…però mi dicevo:  “ancora una settimana!” e andavo avanti, rimandando quella fuga, che sarebbe stata una sconfitta.

Ero circondata dallo sconcerto di familiari, colleghi, amici; alcuni empatici, addolorati, solidali; altri convinti che io avessi perso il lume della ragione. Arrivò anche la prima influenza, con una bella febbre alta (io di solito ho poche linee, o quasi nulla); feci la cura per l’acuto e mi ripresi molto bene, senza strascichi di tosse o sinusite; mentre l’eczema riprese a sfogarsi più che mai. Ecco, credo di aver tenuto duro perché cominciavo a sentire che il mio corpo stava recuperando energia; nonostante tanta sofferenza, lo sentivo più reattivo, e tutti i miei malanni di stagione si erano subito drasticamente ridotti.

Intanto però, anche la pelle delle gambe cominciava a mostrare qualche punto di sfogo, pustoline e chiazze rosse. A marzo la situazione era già critica; la caviglia destra era molto gonfia, sopportavo solo le scarpe da ginnastica con i lacci molto allentati. Insomma, mentre il gonfiore alle braccia, raggiunte le ascelle, cominciava a retrocedere, la situazione di gambe e piedi peggiorava. Mi consolava sapere che l’evoluzione dei fenomeni dall’alto verso il basso era quella giusta, seguiva cioè il percorso di guarigione delle natura; e così affrontai l’estate: con le infradito,zoppicando, ma fiduciosa. Anche il fatto che una leggera macchia sul collo che avevo dalla nascita (una “voglia”) avesse cominciato a gonfiarsi mi sembrò una manifestazione della Forza Vitale che sfruttava ogni possibilità di “buttare fuori”.

Nell’autunno del 2019 le mie gambe erano gonfie e in fiamme, e l’inverno fu più difficile di quello precedente. La pelle si lacerava, usciva moltissimo pus e dovevo fasciarmi per non inzuppare subito calze e pantaloni. Anche se fuori pioveva o nevicava, io potevo uscire solo in ciabatte. Camminavo a fatica, provavo dolore anche solo a stare in piedi; guidando l’auto sopportavo a stento lo sfregamento del sedile dietro le ginocchia. Di sera avevo i brividi come se avessi la febbre, e passavo le notti a coprirmi per il freddo e poi subito dopo a scoprirmi la gamba più infiammata, che sotto le coperte scoppiava. E per la prima volta ho dovuto assentarmi dal lavoro: tre settimane di mutua, che mi sono pesate tantissimo, ma ero oggettivamente in condizioni pietose.

Sinceramente non è stato facile. Ho avuto paura di non farcela, di non riuscire a sopportare tutta quella sofferenza. Però non ho mai avuto dubbi che quella fosse l’unica strada possibile per uscire dal labirinto. Il mio essere più profondo percepiva che solo quella era la cura; che tutto ciò che avevo fatto prima era servito soltanto a sopprimere, a nascondere le magagne. E così ormai ero lì, faccia a faccia con la tigre (mi veniva di chiamarla così) che dall’interno del mio corpo tirava zampate furiose, reclamando di uscire. Io osservavo sconcertata tutto quello che fuoriusciva, e nonostante la sofferenza e le difficoltà non riuscivo neanche più a concepire l’idea di tornare a usare il cortisone, cioè a rinchiudere di nuovo tutto dentro… a quel punto mi sembrava un atto autolesionista! Quella povera tigre ingabbiata e inferocita quale devastazione avrebbe provocato dentro di me?

Alcune brevi frasi che il dottor Greco mi diceva durante le visite – “Al nemico che fugge, ponti d’oro!” oppure “Bisogna lasciare che il corpo parli”- avevano assunto per me un significato sempre più chiaro e profondo. Inoltre, una cara amica si era offerta di sostenermi nei momenti più critici, e così per mesi ci siamo incontrate ogni settimana. Mi  lasciava sfogare tutto il mio tormento, dando parole a ogni tipo di disagio che stessi vivendo (anche non direttamente correlato alla dermatite), quindi con massaggi e con un profondo rilassamento riusciva ad alleggerire i miei pruriti e bruciori e contemporaneamente mi accompagnava in un cammino di consapevolezza, oserei quasi dire di risveglio spirituale. Tanti aspetti della mia vita si sono come armonizzati tra di loro, in questo periodo di cura. E’ stato come se non opponendosi più alla Forza Vitale, ma assecondandola, la vita mi venisse incontro. Mi sono sentita aiutata: da una tenacia che non mi conoscevo e dalle persone generose che ho incontrato.

Occorreva solo pazienza, una grande pazienza: la guarigione per me è arrivata a piccoli passi, talvolta impercettibili: l’entusiasmo per i miglioramenti, frustrato tante volte da bruschi peggioramenti. Ma nella primavera del 2020, dopo un attacco di prurito particolarmente violento, i miglioramenti sono diventati molto più rapidi, ho ricominciato a calzare le scarpe e a camminare normalmente, in estate  conducevo una vita normale. Ho fatto analizzare l’antipatica escrescenza sul mio collo – per il dermatologo un neo verrucoso – e la biopsia ha confermato un “nevo epidermico infiammato”, che ora è molto meno infiammato e ha cominciato a rimpicciolirsi. Sulle gambe ho solo qualche alone rosso, un po’ di bruciore tra le dita dei piedi; la pelle delle mie mani è ancora molto delicata, qualche volta brucia o si screpola, a ricordarmi che devo averne cura e, soprattutto, avere cura del mio intestino, il cui benessere è veramente fondamentale per tutto l’organismo, ma che solo con la dieta e con la cura di terreno ho avvertito letteralmente alleggerirsi, disinfiammarsi e rifiorire. Ora non sono più intollerante ai latticini; li consumo con moderazione, ma posso concedermi un gelato o una fetta di tuma senza timori.Mi sento meglio, infinitamente meglio, e non sono più tormentata da influenze e mal di gola. E se mi arriva un malanno (l’ultimo mal di gola l’ho avuto otto mesi fa) ora so che non si tratta di una tegola che mi è piovuta in testa, ma piuttosto di una “liberazione” (termine che inizialmente mi sconcertava!) attraverso la quale il mio organismo cerca un nuovo equilibrio. Mai aver paura, di nessun malanno! E soprattutto non sopprimerlo! Assecondarlo e affidarsi a cure sapienti.

Ci ho tenuto a raccontare la mia storia per testimoniare come sia possibile uscire da situazioni che ci sembrano senza uscita; è possibile non ricorrere a dei farmaci che sembrano aiutarci, e invece preparano problemi futuri; ed è possibile disseppellire da dentro se stessi la forza e la tenacia necessarie per guarire.

Vorrei tanto che per tutti, fin dall’infanzia, fosse possibile curarsi con l’omeopatia.